Tsunami: Ambienti Tettonici e Genesi del Fenomeno

A cura del Dott. Geol. Pietro Riccobono

Il termine tsunami (津波) ha origine dal giapponese “Tsu” = porto e “Nami” = onda (onda di porto); Questa parola fu coniata e usata per la prima volta nel 1611 in Giappone nella descrizione del terremoto del Sanriku, avvenuto nello stesso anno; non a caso questo nome ha un’origine orientale, dato che questa nazione, cosi come tutti i paesi che si affacciano nell’oceano Pacifico, sono particolarmente soggetti a questo tipo di fenomeno. In prima approssimazione il fenomeno fisico dello tsunami può essere considerato come un’onda, una perturbazione che si propaga nel tempo e nello spazio in mare in seguito ad un input energetico.

È importante porre l’accento sul fatto che quando si parla di tsunami non si fa mai riferimento a una sola onda, ma in realtà ad un treno di onde.

1.1 La Genesi del fenomeno

In linea generale, possiamo identificare come processo genetico un qualsiasi evento naturale o antropico in grado di far mutare in modo rapido e significativo, direttamente o indirettamente, il profilo morfobatimentrico del fondo mare. La variazione improvvisa del profilo, interferisce cosi, con il naturale equilibrio gravitativo presente normalmente tra la superficie degli oceani e la forza di gravità, coinvolgendo dunque l’intera colonna d’acqua. In letteratura scientifica, questo processo prende il nome di “Waterberg Formation” ed è responsabile della propagazione della perturbazione, dal punto sorgente verso le coste.

La genesi del fenomeno è strettamente legata al contesto geodinamico dell’area in esame ed in ordine di frequenza sono:

  • Sismo-tettonica
  • Movimenti in massa
  • Attività vulcaniche
  • Impatto meteorico

1.2 Sismo-tettonica

Da diversi anni ormai, gli istituti di ricerca nazionali ed internazionali di molti stati mondiali sono impegnati nel cosiddetto “Monitoraggio sismico”, ovvero nella raccolta ed elaborazione dei record sismici registrati sia al livello globale che locale; Uno degli obbiettivi principali è quello di creare e condividere al livello globale le informazioni acquisite con l’intera comunità scientifica. In genere tale condivisione viene realizzata attraverso la costruzione di database tematici, spesso consultabili online (ex – http://earthquake.usgs.gov/).

Dall’analisi dei dati sulla distribuzione dei terremoti a scala globale, resi disponibili dall’istituto di ricerca americano United States Geological Survey (U.S.G.S.) e riportati in figura 1, si può osservare che, in linea generale, i terremoti non sono distribuiti in misura uniforme sulla superficie terrestre, ma si manifestano quasi esclusivamente in alcune fasce del pianeta. Osservando la distribuzione degli epicentri, si nota che quasi tutti sono localizzati in alcune fasce, strette e allungate, note nella teoria della tettonica a placche come “margini di placca”, ovvero aree lungo le quali vi è un’interazione tra due o più placche tettoniche attigue, vi è inoltre un’attività sismica significativa lungo le fosse oceaniche, le catene montuose recenti, fosse tettoniche continentali (Rift Valley) e dorsali oceaniche.

Distribuzione dei terremoti nel mondo: epicentri e profondità (U.S.G.S.)

Tuttavia non tutti i terremoti sono in grado di generare treni d’onde distruttive; occorre che il terremoto abbia un alto valore di magnitudo, e quindi un’energia molto elevata, che si verifichi in mare o in prossimità della linea di costa (anche nell’entroterra) e che si sviluppi con una profondità focale superficiale, in genere entro i 50 km. Uno schema generale è riportato nella seguente figura:

Fagliazione in prossimità della line di costa – (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Sez. Roma2)

Dal punto di vista geostrutturale questi meccanismi prendono il nome di “strutture tsunamigeniche” e sono costituite da faglie sismogenetiche o capaci, di notevole estensione, che hanno un rigetto prevalentemente verticale e che interessano il fondo mare; gli tsunami più distruttivi si sviluppano in ambienti caratterizzati principalmente da un regime tettonico di tipo compressivo e/o distensivo; faglie trascorrenti pure, raramente sono in grado di perturbare significativamente il naturale equilibrio gravitativo tra il fondo mare e la superficie dell’acqua, in altre parole, hanno un basso potenziale tsunamigenico.

Secondo i dati riportati dal National Oceanic and Atmospheric Administration – World Data Center (N.O.A.A. – W.D.C.), presenti anche in letteratura scientifica su Mastronuzzi et al. (2013), le aree in cui il fenomeno dello Tsunami ha una maggior incidenza, ovvero dove si concentra la maggior parte degli eventi al livello globale, rientrano nella cosiddetta “Cintura Circumpacifica” con il 63% tra eventi registrati e catalogati, seguono il Mar Mediterraneo con il 21%, l’Oceano Indiano al 6% e l’Oceano Atlantico 5% .

 Panoramica delle coste interessate direttamente o indirettamente da eventi di Tsunami (Catalogo NOAA/WDC)

1.2.1 Geodinamica dei margini convergenti quali cause principali d’innesco

La conoscenza degli ambienti geodinamici, sia a scala globale che nel dettaglio, la modellizzazione dei processi che avvengono e come essi interagiscono tra loro, è una componente essenziale sugli studi di Pericolosità legata al fenomeno dello tsunami.

Sulla base dei movimenti relativi delle zolle litosferiche o placche, sono stati riconosciuti tre tipologie di margine, ovvero margini conservativi, divergenti e convergenti, ma in genere, solo quest’ultimo presenta le caratteristiche fisiche idonee per un innesco diretto di fenomeni di tsunami distruttivi.

I margini convergenti, noti anche con il nome di margini attivi, sono caratterizzati da un’interazione di tipo distruttiva, dovuta alla convergenza tra due o più placche litosferiche verso la loro interfaccia a cui si associa un’elevata attività sismica e un’intensa attività vulcanica.

Distribuzione globale delle placche tettoniche e velocità relative di movimento (I.N.G.V. – Web)

I margini convergenti vengono formalmente classificati in “Margini di Subduzione” e “Margini Collisionali” in funzione del tipo di litosfera coinvolta nel processo di subduzione, dove con tale termine si intende il sottoscorrimento di una placca litosferica sotto un’altra placca; di seguito una tabella riassuntiva:

Tipo di margine

Movimento Relativo

Tipo Litosfera

Tipo di Subduzione

Margine di subduzione di tipo Marianne

Convergenza

Oceanica/Oceanica

Oceanica

Margine di subduzione di tipo Ande

Convergenza

Continentale/Oceanica

Oceanica

Margine collisionale di tipo Alpino-Himalayano

Convergenza

Continentale/Continentale

Continentale

Margine collisionale di tipo Taiwan

Convergenza

Oceanica/Continentale

Continentale*

Tabella riassuntiva sui tipi di margine; * margine particolare

La crosta oceanica ha uno spessore medio di circa 7 km ed ha una densità media di circa 3 g/cm3; La crosta continentale, invece è costituita principalmente da rocce a composizione granitoide, ricche in alluminio e silicio, con una densità media di circa 2,7 g/cm3 e uno spessore che può raggiungere e superare i 50 km. Il contrasto di densità insieme ad una significativa velocità di convergenza permette la subduzione delle placche (Tettonica delle placche, Doglioni C.); fa eccezione il margine di placca detto “Taiwan” in cui è la crosta continentale a sottoscorrere su quella oceanica.

Quando la placca litosferica sprofonda nella sottostante astenosfera, si determinano grandi tensioni e deformazioni, soprattutto nella porzione di placca subdotta. Gli eventi sismici in quest’area sono molto frequenti e avvengono a diverse profondità; si registrano terremoti superficiali con ipocentri entro i 70 km, terremoti intermedi con ipocentri entro i 70- 300 km e profondi con ipocentri che vanno da i 300 a oltre i 700 km.  La distribuzione spaziale di questi ipocentri descrivono la geometria del piano subdotto, in letteratura, questi allineamenti sismici sono noti come “Piani di Wadati-Benioff”.

Ipocentri dei terremoti e “Wadati–Benioff zone” in Giappone (Giancarlo Scalera, 2007 – I.N.G.V.)

Un altro fattore importate da tenere in considerazione è l’angolo di subduzione, ovvero l’angolo che una zolla in subduzione forma con la superficie della terra. Esso oltre ad influenzare l’estensione dell’arco vulcanico (con l’aumentare di quest’angolo diminuisce l’ampiezza dell’arco vulcanico, nonché l’intervallo arco-fossa e viceversa , vedi figura sopra sx), influenza anche la distanza della fossa oceanica dalla linea di costa.  Vanno tuttavia ricordati alcuni dei parametri fondamentali che determinano il valore del suddetto angolo, ossia lo stato termico della crosta oceanica in subduzione, la velocità relativa e la velocità assoluta di convergenza tra le placche. In funzione dell’angolo di subduzione si distinguono i margini di subduzione di tipo “Marianne” e i margini di subduzioni di tipo “Andino”.

Nei margini di subduzione ad alto angolo, tipo Marianne, la fossa oceanica si trova molto più al largo ed assume un’elevata profondità, mentre i margini di subduzione di tipo Andino sono caratterizzati da un basso angolo di subduzione e la presenza a poche centinaia di km dalla costa di una fossa oceanica “poco” profonda. La conoscenza sulla distribuzione ed estensione delle fosse oceaniche, nonché la loro profondità e distanza dalla linea di costa, è molto rilevante poiché, vi è una relazione di proporzionalità diretta tra l’energia trasportata da uno Tsunami e la batimetria del fondo oceanico.

Il complesso di subduzione sprofondando per effetto della gravità va a giustapporsi alle rocce dell’astenosfera caratterizzate da temperatura notevolmente più alta; tale zolla si riscalda ad una velocità che è funzione della propria conduttività termica. Sulla base di relazioni, definite empiricamente, si osserva che l’aumento di temperatura determina, dopo circa 10 milioni di anni, un comportamento della zolla diverso da quello di un corpo fragile. Studi sull’arrivo del primo impulso d’onda, ovvero sulla fase “P” dei terremoti indicano una distribuzione sistematica nello spazio dei meccanismi distensivi e compressivi. La presenza di zone di distensione è stata interpretata come una variazione locale degli sforzi dovuto all’aumento di temperatura e alla variazione verso il basso (Trazione) della porzione subdotta (Isacks et al., 1968).

Il complesso di subduzione e regimi degli sforzi da Isacks et al. (1968)

Nei margini di subduzione di tipo Ande la placca che sovrasta il sistema è di tipo continentale e la placca che subduce e invece costituita da crosta oceanica. In linea generale, le considerazioni effettuate in precedenza sul “complesso di subduzione” e sul “sistema arco fossa” restano valide comunque. Il sottoscorrimento, visto il netto contrasto di densità tra le porzioni litosferiche coinvolte nel processo risulta in questo caso, più “agevolato”.  La risalita del materiale roccioso in subduzione, parzialmente fuso dal calore astenosferico, genera sul margine di placca continentale una morfostruttura denominata “arco magmatico”, un’imponente catena montuosa che si dispone parallelamente al margine di placca continentale attivo. Le cordigliere andine e nordamericane sono l’esempio migliore di questo tipo di catene, esse si contraddistinguono dalla formazione, verso la fossa, di prismi embricati di rocce oceaniche, Flysch e mélanges in facies scisti blu (metamorfismo di alta pressione bassa temperatura, derivante da Protoliti a composizione basica/ultrabasica come basalti, peridotiti..ecc; condizioni termobariche: 200-500°C e 0.6 – 1.6 Gpa)  (Ernst, 1971), alimentati anche dal materiale terrigeno proveniente dall’erosione della cordigliera stessa.  Di seguito si riporta uno schema esemplificativo di tale margine e l’identificazione dei “Piani di Wadati- Benioff”.

Ipocentri dei terremoti e “Wadati–Benioff zone” in America del Sud (Giancarlo Scalera, 2007 – I.N.G.V.)

In conclusione, i processi geodinamici e gli ambienti fin qui descritti, secondo Press e Siever (2001), presentano tutte le caratteristiche ideali per la formazione di eventi di Tsunami distruttivi; Un’ulteriore considerazione, non secondaria, è inerente alla magnitudo degli eventi sismici che frequentemente si verificano in questi ambienti tettonici.

Da un consulto dei database di istituti nazionali ed internazionali di ricerca sulla distribuzione globale dei terremoti in un arco temporale che va dal 1900 al dicembre 2012 in cui sono riportati anche i valori di magnitudo momento (Mw, stimati o registrati), si mette in evidenza che i terremoti con i più alti valori di Mw sono avvenuti nelle aree di subduzione:

I terremoti più forti mai “registrati” sulla terra, estratti da U.S.G.S. – Earthquake Hazards Program – Largest Earthquakes in the World Since 1900 Top Mw

La quasi totalità degli eventi riportati nella precedente tabella ha generato tsunami molto violenti, ad alto contenuto energetico, che si sono abbattuti sulle coste limitrofe provocando numerose vittime e danni per milioni di dollari, inoltre, in seguito alla propagazione del fenomeno in aperto oceano, sono stati registrati vittime e ingenti danni anche a migliaia di chilometri di distanza dal punto sorgente (Teletsunami).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *